venerdì 12 dicembre 2025

I grandi traditori della storia: da Bruto a Quisling

I grandi traditori della storia: tra mito, politica e memoria collettiva

La morte di Cesare


Nella memoria collettiva di ogni epoca esistono figure che vengono ricordate non tanto per ciò che hanno costruito, quanto per ciò che hanno distrutto con un singolo gesto. Sono i “grandi traditori della storia”: personaggi che, a torto o a ragione, vengono fissati per sempre nel ruolo di chi ha spezzato un giuramento, un’alleanza, una fedeltà politica o personale.

Ma cosa significa davvero “tradimento” in prospettiva storica? La storiografia contemporanea invita alla prudenza: un atto definito come tradimento da una parte può essere percepito come legittimo, necessario o addirittura eroico da un’altra. In questo articolo analizziamo alcuni tra i casi più celebri, cercando di coniugare il racconto con l’interpretazione critica, rimandando dove possibile a studi e sintesi di carattere scientifico.



Tradimento e storiografia: una categoria problematica

Il termine “traditore” appartiene più al linguaggio morale e politico che a quello scientifico. Storici come Renzo De Felice o Eric Hobsbawm, pur occupandosi di figure controverse, evitano il giudizio sommario e cercano di capire il contesto, le motivazioni, le pressioni sociali e personali.

Per questo, quando parliamo di “grandi traditori della storia”, non dovremmo immaginare una lista chiusa e definitiva, bensì una galleria di casi emblematici che mostrano quanto il concetto di fedeltà – alla patria, al sovrano, alla fede, a una causa rivoluzionaria – sia storicamente variabile.

Tuttavia, alcune figure hanno acquisito un tale peso simbolico da diventare veri e propri archetipi. È su di loro che ci concentreremo, a partire dal mondo antico per arrivare all’età contemporanea.


Bruto e Cassio: il pugnale contro Cesare

La congiura delle Idi di marzo (44 a.C.) è forse l’episodio di tradimento politico più famoso della storia romana. Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio Longino, assieme ad altri senatori, uccidono Giulio Cesare nel pieno della sua potenza. La tradizione – alimentata anche dalla tragedia di William Shakespeare – ha trasformato Bruto nel simbolo del figlio (politico) che trafigge il padre.

Ma Bruto fu davvero un traditore? Dal punto di vista dei cesariani, la risposta è ovviamente sì. Dal punto di vista di molti repubblicani, invece, l’atto venne interpretato come un tentativo disperato di salvare le istituzioni repubblicane dal rischio di una monarchia personale. Come sottolinea la storiografia moderna (voce Treccani su Bruto), il gesto di Bruto è collocabile nella lunga tensione tra oligarchia senatoria e potere personale.

La memoria, tuttavia, ha scelto una via più semplice: Cesare è il grande condottiero illuminato, Bruto è il traditore. Un paradigma binario che si ripeterà spesso nella storia.


Giuda Iscariota: il traditore per eccellenza

Se esiste un nome che, nel linguaggio comune, coincide con “traditore”, questo è certamente Giuda Iscariota. Secondo i Vangeli, Giuda consegna Gesù alle autorità in cambio di trenta denari, con un gesto divenuto proverbiale: il bacio traditore.

La figura di Giuda è stata oggetto di interpretazioni teologiche e storiche molto diverse. Il suo ruolo nella passione di Cristo è analizzato in profondità nel dibattito esegetico contemporaneo, che sottolinea come il racconto evangelico sia anche un testo teologico, non solo cronaca degli eventi.

Nella cultura occidentale, però, Giuda è diventato il simbolo assoluto di chi tradisce non solo un maestro, ma un uomo che gli ha dato fiducia. La storia successiva – di arte, letteratura, predicazione – ha rafforzato questa immagine, trasformandolo in un personaggio quasi “necessario” al dramma cristiano.


Efiatte di Trachis: il traditore delle Termopili

Spostandoci nella Grecia classica, incontriamo un personaggio meno noto al grande pubblico, ma fondamentale per l’immaginario del tradimento bellico: Efiatte di Trachis. Secondo Erodoto (Storie, VII), fu lui a rivelare ai Persiani il sentiero montano che aggirava la stretta gola delle Termopili, permettendo di accerchiare Leonida e i suoi alleati.

Anche in questo caso il giudizio è ambivalente: per gli Spartani, Efiatte è il traditore per eccellenza, colui che vende la patria al nemico. Per altri, è un individuo marginale che agisce per interesse personale, in un contesto in cui le lealtà locali e regionali erano spesso in conflitto.

La memoria, ancora una volta, semplifica: Leonida diventa il martire eroico, Efiatte l’ombra che rende più luminosa la scena del sacrificio.


Mir Jafar: il tradimento che aprì l’India agli inglesi

Saltando all’età moderna, uno dei casi più significativi è quello di Mir Jafar (noto anche come Mir Jafar Ali Khan), personaggio chiave nella conquista britannica del Bengala. Nel 1757, durante la battaglia di Plassey, Mir Jafar – comandante delle truppe del Nawab di Bengala, Siraj ud-Daulah – abbandonò il suo sovrano e si alleò con la Compagnia delle Indie Orientali.

La sua defezione fu decisiva: la vittoria britannica a Plassey aprì la strada al dominio coloniale sull’India nord-orientale. Molti storici, come ricordato in sintesi da Encyclopaedia Britannica, considerano quell’episodio un punto di svolta nella storia del subcontinente.

Nella memoria indiana, Mir Jafar è diventato sinonimo di tradimento politico, quasi più di quanto non lo sia Giuda nella tradizione cristiana. Il suo nome è ancora oggi utilizzato in contesti giornalistici e politici per indicare chi “vende” la patria a interessi stranieri.


Benedict Arnold: l’“americano” che cambiò bandiera

Nel contesto della Rivoluzione americana, il caso di Benedict Arnold è tra i più discussi. Inizialmente eroe della causa indipendentista, Arnold passò in seguito al servizio britannico, tentando di consegnare agli inglesi la strategica fortezza di West Point.

Secondo la storiografia anglosassone (si veda, ad esempio, la sintesi in Encyclopaedia Britannica), le sue motivazioni furono complesse: ambizione personale frustrata, risentimento per mancate promozioni, difficoltà economiche, disillusione verso il Congresso continentale.

Per gli Stati Uniti, Arnold è divenuto il modello del traitor per eccellenza: il militare che, dopo aver goduto di onori e fiducia, li ripaga con un cambio di schieramento in piena guerra. La sua vicenda mostra come il tradimento possa nascere dall’intreccio tra orgoglio ferito e calcolo opportunistico.


Pétain e Quisling: il collaborazionismo nella Seconda guerra mondiale

Nel Novecento, la stagione delle grandi guerre mondiali ha generato nuove forme di tradimento politico: collaborare con un occupante straniero contro il proprio Stato. Due nomi, in questo senso, sono diventati simbolici: Philippe Pétain e Vidkun Quisling.

Pétain, eroe della Prima guerra mondiale, divenne capo dello Stato francese a Vichy dopo la sconfitta del 1940. Il suo governo collaborò con la Germania nazista, accettando limitazioni di sovranità e partecipando alla persecuzione degli ebrei. Il dibattito storiografico su Pétain – ampiamente discusso, ad esempio, da Robert Paxton – oscilla tra l’immagine di difensore di ciò che restava della Francia e quella di capo di un regime collaborazionista.

Quisling, in Norvegia, fondò un partito filonazista e guidò un governo fantoccio sotto l’occupazione tedesca. La sua figura è stata talmente identificata con il concetto di tradimento che il suo stesso cognome è entrato in molte lingue come nome comune: “quisling” indica ancora oggi chi collabora con un nemico occupante.


Tradimento o rottura di lealtà? Il punto di vista dello storico

I casi fin qui citati – e molti altri che potremmo aggiungere, da Andrei Vlasov nell’Unione Sovietica a taluni protagonisti delle guerre di decolonizzazione – spingono a una riflessione: il tradimento è sempre questione di prospettiva.

Lo storico francese Jean Tulard, parlando di figure controverse dell’età napoleonica, sottolinea come gli stessi individui possano essere considerati patrioti da una parte e opportunisti dall’altra. Ciò che cambia è il quadro di riferimento: la nazione, il regime, la religione, l’ideologia.

Per questo la storiografia più avvertita evita l’uso del termine “traditore” come etichetta definitiva e preferisce analizzare le dinamiche di rottura della lealtà: perché alcune persone decidono, in un certo momento, di abbandonare il campo nel quale hanno militato fino a poco prima? Quali conjunture politiche, sociali, psicologiche rendono possibile quel gesto?


La lunga vita dei traditori nella memoria collettiva

Al di là delle analisi scientifiche, i “grandi traditori” sopravvivono soprattutto nella memoria pubblica: manuali scolastici, romanzi, film, serie televisive. Qui il piano morale prende spesso il sopravvento su quello storico: Bruto, Giuda, Mir Jafar, Quisling vengono compressi in pochi tratti nettamente negativi, perché la narrazione ha bisogno di figure riconoscibili e contrasti netti.

Eppure, conoscere la complessità delle loro vicende non significa assolverli automaticamente. Significa piuttosto comprendere che il tradimento, nella storia, è spesso il risultato di scelte individuali dentro situazioni collettive estreme. La lealtà, in tempi di crisi, diventa un bene fragile, e proprio per questo la sua rottura è così carica di significato simbolico.


Per approfondire

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