Rasputin: ascesa, caduta e mito eterno del “monaco folle”
Pochi personaggi della storia moderna hanno alimentato altrettanti miti, paure e leggende come Grigorij Efimovič Rasputin. Figura controversa, mistico ambiguo, uomo di fede e di eccessi, amico intimo della famiglia imperiale russa, Rasputin continua ancora oggi a dividere storici e lettori. Per alcuni fu un manipolatore senza scrupoli; per altri un guaritore dotato di carisma autentico. Per molti, semplicemente, una delle incarnazioni più riuscite del mistero russo.
La sua storia si intreccia con gli ultimi anni dell’Impero dei Romanov, mentre la Russia scivolava verso il baratro della rivoluzione. Capire Rasputin significa anche capire le fragilità politiche, sociali e spirituali che portarono alla caduta della dinastia nel 1917.
In questo articolo ripercorriamo la vita del “monaco folle”, distinguendo il mito dalla realtà e ricorrendo alle ricerche più autorevoli, come quelle di Orlando Figes e di Douglas Smith, autore della biografia definitiva Rasputin: Faith, Power, and the Twilight of the Romanovs.
1. Le origini: dalla Siberia profonda alla ricerca di Dio
Rasputin nacque nel 1869 a Pokrovskoye, un villaggio siberiano che all’epoca era poco più che un pugno di case immerse nella neve. La sua infanzia non suggeriva minimamente la vita straordinaria che avrebbe condotto: era un contadino, analfabeta fino alla maturità, appartenente a una famiglia senza alcuna influenza politica o religiosa.
Il suo primo grande tratto distintivo fu l’inquietudine spirituale. Rasputin vagò per monasteri, pellegrinò per migliaia di chilometri e si unì a gruppi religiosi radicali. Alcune fonti – spesso ingigantite dalla propaganda – lo collegano ai Khlysty, una setta mistica che predicava estasi spirituali attraverso riti estremi. Non esistono prove definitive della sua appartenenza, ma l’accusa contribuì enormemente alla sua futura reputazione di “monaco dissoluto”.
Durante una visita al monastero di Verkhoturye, Rasputin affermò di aver vissuto una conversione profonda che lo portò a rinunciare ad alcol e violenza (rinuncia, va detto, non sempre rispettata). Da quel momento iniziò a costruirsi la fama di starec, un “uomo di Dio” itinerante, dotato di carisma e capacità di guarigione.
2. L’arrivo a San Pietroburgo: un mistico alla corte degli zar
L’anno chiave per l’ascesa di Rasputin fu il 1905. In un periodo di crisi politica, dopo la rivoluzione fallita, la Russia era attraversata da ansia e instabilità. La famiglia imperiale, in particolare, cercava disperatamente speranza.
A introdurlo a San Pietroburgo furono alcuni religiosi affascinati dalla sua energia spirituale. Grazie a una rete di sostegni – monache, vescovi progressisti e aristocratici in cerca di nuove forme di misticismo – Rasputin venne presentato allo zar Nicola II e alla zarina Aleksandra.
Per i Romanov, l’incontro fu un punto di svolta. La coppia imperiale era devastata dalla malattia del loro unico figlio maschio, Aleksej, affetto da emofilia. Ogni crisi del bambino metteva a rischio la successione e l’intero equilibrio dell’Impero.
Ed è qui che Rasputin entrò nella storia. Più volte, durante gli attacchi di Aleksej, Rasputin sembrò in grado di calmarlo e favorirne la guarigione. Molti storici suggeriscono che il suo effetto fosse psicologico, o dovuto al suo consiglio di evitare trattamenti invasivi. Con la medicina dell’epoca, spesso più dannosa che utile, il suo intervento poteva davvero fare miracoli.
Qualunque fosse la spiegazione, la zarina ne fu convinta: Rasputin era l’unico uomo in grado di salvare suo figlio. E questo lo rese intoccabile.
3. Il potere dietro il trono: tra favore imperiale e scandali pubblici
L’influenza di Rasputin esplose rapidamente. Non aveva alcuna carica ufficiale, ma la sua amicizia con la famiglia imperiale gli garantiva un potere enorme. Ministri, generali, vescovi, aristocratici: tutti cercavano di conquistare il suo favore.
Le cronache dell’epoca lo descrivono come un uomo magnetico ma controverso: capace di grandi atti di compassione e di eccessi stravaganti. Frequentava bordelli e taverne, veniva accusato di sfruttare il suo ascendente sulle donne e di vivere in modo dissoluto, alimentando una “leggenda nera” che i suoi nemici politici usarono contro di lui.
Lo storico Robert Massie osserva che la sua figura divenne presto un’arma propagandistica nelle mani di chi voleva indebolire la monarchia: Rasputin era rappresentato come il burattinaio dell’Impero, un demonio che guidava la zarina e manipolava lo zar.
La realtà era probabilmente meno drammatica, ma non meno pericolosa. Rasputin godeva davvero di accesso diretto ai Romanov e forniva consigli su politica, religione e nomine governative. Nel mezzo della Prima guerra mondiale, questo alimentò il sospetto che stesse distruggendo la Russia dall’interno.
4. L’odio dell’aristocrazia e la sua fine tragica
Il declino di Rasputin fu inevitabile. Più cresceva la sua influenza, più aumentava l’ostilità nei suoi confronti. Aristocratici, generali, politici conservatori e perfino alcuni religiosi vedevano in lui un pericolo mortale.
Il complotto contro di lui maturò nel 1916. Guidato dal principe Feliks Yusupov e dal granduca Dmitrij Pavlovič, il gruppo decise di eliminarlo, convinto che così avrebbero salvato l’Impero dalla rovina.
La notte tra il 29 e il 30 dicembre 1916, Rasputin fu attirato nel palazzo Yusupov con un pretesto, avvelenato (il veleno non funzionò), poi colpito da più proiettili. Secondo la leggenda – probabilmente esagerata – continuò a resistere fino all’ultimo, alimentando il mito della sua “immortalità”.
Il suo corpo fu infine gettato nel fiume Neva. Alcune fonti sostengono che fosse ancora vivo quando cadde nelle acque gelide. Ma anche questo è parte del mito, non della storia.
5. Rasputin dopo Rasputin: il mito che non muore
La morte avrebbe dovuto cancellare la sua influenza. Invece, la amplificò. Dopo la Rivoluzione del 1917, Rasputin divenne simbolo dell’ultimo periodo dei Romanov: un’epoca di paranoia, debolezza politica e superstizione.
Nei decenni successivi, cinema, letteratura e propaganda sovietica hanno trasformato Rasputin in un’icona culturale. Il suo nome evoca ancora:
- corruzione e scandali sessuali,
- poteri soprannaturali,
- influenza politica occulta,
- carisma incomprensibile,
- decadenza della monarchia russa.
Gran parte di ciò che “sappiamo” su di lui deriva dalla fantasia popolare. La storiografia più seria – come quella di Douglas Smith e Orlando Figes – mostra un uomo complesso: non un santo, non un demonio, ma un mistico carismatico che si trovò al centro di un momento storico esplosivo.
6. Quanto potere ebbe davvero?
La domanda divide ancora oggi gli studiosi. Rasputin consigliò ministri, influenzò la zarina, intervenne in decisioni politiche? Sì, ma probabilmente non tanto quanto suggeriscono le leggende.
La sua forza non era istituzionale ma psicologica. Aleksandra lo considerava l’unico tramite con la salvezza del figlio e quindi dell’Impero. Questo gli dava accesso, ma non controllo. La narrativa del “burattinaio” fu utile ai suoi nemici, ma è storicamente esagerata.
Ciò non toglie che la sua presenza contribuì alla delegittimazione della monarchia in un momento di crisi. In un Paese già scosso dalla guerra, dalla carestia e dai fermenti rivoluzionari, Rasputin divenne il simbolo della decadenza del regime.
Conclusione
La vita di Rasputin è la storia di un uomo nato nel nulla che divenne l’incarnazione del potere spirituale e della paura politica. La sua ascesa avvenne in un momento di fragilità dell’Impero: la famiglia Romanov vide in lui una speranza, mentre i suoi nemici vi lessero una minaccia.
Oltre il mito rimane una figura complessa, che univa carisma, fede sincera, debolezze umane e straordinaria capacità di influenzare chi lo circondava. Rasputin rappresenta l’ultimo bagliore di un mondo destinato a scomparire con la rivoluzione russa.
Consigli di lettura
Articolo pubblicato su Historia – Antonio Grillo

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